Settembre 22, 2020

L’esterovestizione

Il concetto di delocalizzazione all’estero (Offshoring) è un problema diffuso che ha acquisito una dimensione globale. In questo articolo parlerò in particolare dell’esterovestizione, che si manifesta come una dissociazione tra residenza reale e residenza fittizia del soggetto passivo, per cui il contribuente stabilisce formalmente all’estero la propria residenza (sia in abito UE che extra UE), mentre continua ad operare stabilmente in Italia con l’unico scopo di beneficiare di un regime fiscale più favorevole.

L’intento è quello di dare una indicazione dei criteri in base ai quali una persona giuridica possa essere considerata fiscalmente residente e, quindi, quando può essergli contestata l’esterovestizione pur essendo formalmente non residente in Italia i fini fiscali.

L’art. 73 del TUIR

L’art. 73 del Tuir detta le regole per definire se un soggetto passivo è da considerarsi
residente e come tale sarà assoggettato a tassazione per i redditi ovunque prodotti
(worldwide taxation) o non residente con conseguente tassazione dei soli redditi
prodotti nel territorio dello Stato. In particolare, è possibile distinguere due differenti
fattispecie:

  1. L’esterovestizione di fatto (art. 73, comma 3, del T.U.I.R.)
  2. L’esterovestizione di diritto (art. 73, commi 5 bis e ter, del T.U.I.R.)

La differenza tra i due istituti sta nell’onere probatorio, nel primo caso a carico dell’Amministrazione finanziaria mentre nel secondo caso a carico del contribuente.
Per determinare quindi la residenza fiscale dei soggetti diversi dalle persone fisiche è necessario eseguire una valutazione di tipo territoriale ed una di tipo temporale. L’art. 73 comma 3 del T.U.I.R. stabilisce che si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta (valutazione temporale) hanno la sede
legale
o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello stato (valutazioni territoriali).

Valutazione territoriale: questo tipo di valutazione si basa esclusivamente sulla determinazione della localizzazione nel territorio italiano di uno dei seguenti elementi:

  • Sede legale
  • Sede dell’amministrazione
  • Oggetto principale dell’attività

Valutazione temporale: presenza nel territorio dello stato per più della metà dell’anno (183 giorni o 184 nel caso di anno bisestile).

Passiamo ad analizzare nel dettaglio le valutazioni territoriali partendo dalla sede legale.
Generalmente per sede legale si intende quella riportata nell’atto costitutivo o nello statuto. Talvolta potrebbe accadere che la Sede legale sia diversa dalla Sede effettiva.

La corte di Cassazione ha dato una definizione di sede effettiva quale “Il luogo in cui la società svolge la sua prevalente attività direttiva e amministrativa per l’esercizio dell’impresa, cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati
per l’espletamento e il raggiungimento dei fini sociali”
1. La sede effettiva, quindi, non sostituisce la sede legale ma si aggiunge ad essa. Si capisce bene come dei tre criteri previsti dall’art. 73 del T.U.I.R., seppure alternativi, quello della sede legale sia l’elemento che assume minore importanza ai fini della residenza fiscale in Italia in quanto facilmente manipolabile.

Per sede dell’amministrazione ci si riferisce al luogo in cui viene svolta l’attività di gestione che può essere desunta, ad esempio, dall’esistenza di uffici amministrativi oppure dall’indicazione sulle fatture. Conseguentemente i concetti di sede effettiva, come richiamata dalla Corte di Cassazione, e di sede dell’amministrazione coincidono e costituiscono, assieme al concetto di sede legale, il significato più generale di sede. La sede dell’amministrazione risulta essere il criterio fondamentale per la detereminazione della residenza fiscale di una società, anche in considerazione della sua
valenza internazionale come criterio convenzionale previsto dal modello OCSE per risolvere conflitti di residenza (c.d. Tie-Breack rule).

Per determinare la sede amministrativa è necessario compiere complessi accertamenti finalizzati ad verificare il reale rapporto della persona giuridica con un determinato territorio, che può essere diverso da quello indicato nell’atto costitutivo e nello statuto.

I criteri da utilizzare sono principalmente due:
  • Criterio base (o primario) che prevede l’individuazione del luogo da cui effettivamente provengono i c.d. impulsi volitivi inerenti all’attività della società o dell’ente. La sede dell’amministrazione è quindi il luogo dove vengono svolte le attività amministrative. Altri elementi come al cittadinanza, il domicilio nonché la nazionalità degli amministratori, sono irrilevanti in quanto ciò che conta è il luogo in cui essi si incontrano per prendere le decisioni riguardanti la realizzazione dell’attività sociale.
  • Verificare il luogo ove gli impulsi volitivi hanno concreta attuazione: individuare, cioè, dove opera il top management. Dovrà, quindi, essere verificato il centro effettivo degli interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e i diversi fattori dell’impresa che vengono organizzati e coordinati per l’espletamento e il raggiungimento dei fini sociali.

Quest’ultimo criterio è comunque sussidiario a quello primario che si riferisce all’attività degli amministratori. Infatti, se il top management dà attuazione alle direttive del consiglio in un luogo diverso da quello individuato sulla base del criterio primario, tale secondo luogo non determina la sede dell’amministrazione della società. La Suprema
Corte ha affermato che la sede dell’amministrazione è “il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento
degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente”

Pertanto, la sede legale costituita all’estero non assume rilevanza qualora, da un esame della situazione sostanziale ed effettiva dell’impresa sotto il profilo gestionale della stessa, emerga che gli impulsi decisionali, le strategie aziendali, la direzione e il coordinamento sono esercitati sul territorio italiano, salvo il caso dei gruppi multinazionali che tratterò più avanti.

Per oggetto principale dell’attività si intende l’attività necessaria ed essenziale per raggiungere gli scopi indicati dall’atto costitutivo o dallo Statuto. In mancanza di questi, l’oggetto principale dell’attività è determinato in base alla effettiva attività esercitata nel territorio dello stato. Se l’atto costitutivo o lo statuto della società prevedono lo
svolgimento di più attività, occorre fare rifermento all’attività che risulta essenziale per il raggiungimento dello scopo sociale. Ma cosa si intende per principalità dell’oggetto?

In caso di mancanza di sede legale o amministrativa, i requisiti per potere considerare residente in Italia una società sono i seguenti:
– Principalità delle attività svolte in Italia rispetto alle attività svolte all’estero con riferimento all’atto costitutivo
– In assenza di indicazioni in atto costitutivo, principalità delle attività svolte in Italia rispetto alle attività svolte all’estero in base ad una analisi sostanziale
– Mantenimento della principalità per la maggior parte del periodo d’imposta.

I modelli OCSE contro le doppie imposizioni e la libertà di stabilimento

Giova, altresì, evidenziare che al fine di evitare fenomeni di doppia imposizione, i vari Stati stipulano accordi internazionali contro le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio, principalmente sulla base del modello redatto dall’OCSE, con l’intento di derimere i casi in cui un contribuente sia considerato residente in entrambi gli Stati
dando prevalenza al criterio della sede di direzione effettiva anche conosciuto come “place of effective management”. Su questo punto il nostro Paese ha formulato specifiche osservazioni all’art. 4 del modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni introducendo una particolare riserva per effetto della quale, per determinare la residenza fiscale di una società oltre al “place of effective management”, dovrà essere verificato anche il luogo nel quale viene svolta l’attività principale dell’impresa.

In ogni caso la valutazione di tali elementi deve essere sempre condotta in un’ottica di prevalenza della sostanza sulla forma soprattutto nel caso di gruppi societari multinazionali. Infatti identificare ai fini tributari la sede amministrativa della società controllata con il luogo nel quale si assumono le decisioni strategiche o dal quale partono gli impulsi decisionali (sede della società controllante ) può ritenersi un errore grossolano, in quanto, in evidente contrasto con le ragioni stesse della politica del gruppo e le esigenze sottese al suo controllo. Tale approccio si pone addirittura in
contrasto con la presunzione di eterodirezione della società controllata e in particolare con quanto prevede l’articolo 2497-sexies del codice civile secondo il quale si presume, salvo prova contraria, che l’attività di direzione e coordinamento di una società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile. Pertanto non può essere considerata fiscalmente attrattiva l’attività di direzione e coordinamento esercitata da una società italiana sulla branch straniera, unitamente alla fisiologica ingerenza tipica delle holding nei confronti delle società partecipate.

A livello giurisprudenziale, infine, si è consolidato un particolare approccio in cui, attesa l’importanza del principio della libertà di stabilimento e la libertà delle prestazioni di servizio, in ambito comunitario non può essere contestata l’esterovestizione se non si è in presenza di una struttura di puro artificio, ossia di un soggetto che non svolge, in
realtà, alcuna attività economica ma è stato costituito con il solo scopo di ottenere un indebito vantaggio fiscale. Infatti, la giurisprudenza unionale ha affermato, in tema di libertà di stabilimento, che la circostanza che una società sia stata creata in uno stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce di per sé un abuso
di tale libertà. Una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa solo se riguarda specificatamente le “costruzioni di puro artificio” finalizzate a escludere la normativa dello Stato membro interessato.

Alla stessa conclusione giunge la Corte di Cassazione con la famosa sentenza Dolce & Gabbana che ha risolto un complesso e importante caso di esterovestizione societaria.

Gli elementi probabili

Passando agli aspetti più operativi verifichiamo quali sono gli elementi probatori che contribuenti e Amministrazione finanziaria devono tenere in considerazione per confutare o provare l’esterovestizione? In merito alle modalità con cui il contribuente può provare l’effettiva residenza all’estero il protocollo del ministero dell’economia e delle finanze 12 Aprile 2010 numero 3 – 3873, richiamando la risoluzione ministeriale del 5 novembre 2007 n. 312 precisa che la prova può essere liberamente fornita sulla base non solo del dato documentale, ma anche sulla base di tutti gli elementi concreti da cui risulti, in particolare, il luogo in cui le decisioni strategiche, la stipulazione dei contratti
e le operazioni finanziarie bancarie siano effettivamente realizzate. A tal fine l’amministrazione finanziaria ha indicato come elementi utili i seguenti: il periodico svolgimento delle riunioni del consiglio di amministrazione unitamente all’evidenza che tali riunioni sono tenuti presso la sede sociale con la partecipazione dei diversi consiglieri, la dimostrazione dell’ effettivo svolgimento in loco della gestione operativa da parte dei membri del consiglio di amministrazione che detengono ed esercitano concretamente i poteri decisionali.

Per converso, costituisce sicuramente un significativo elemento probatorio della residenza all’estero l’autonomia accordata agli amministratori esteri con riferimento all’organizzazione del personale, alle decisioni di spesa, alla stipula dei contratti, i cui indicatori possono essere rappresentati dagli atti di gestione adottati e dall’attività
negoziale posta in essere, quali direttive interne, contratti di natura commerciale o finanziaria , corrispondenza e documenti che precedono o integrano le trattative commerciali cui è orientata la strategia aziendale.

In base alla circolare della Guardia di Finanza n. 1 del 29 Dicembre 2008 gli accertamenti per la dimostrazione dell’esterovestizione di fatto si focalizzano su:
  • la residenza degli amministratori, se prevalentemente italiani, controllandone la presenza all’estero in occasione delle riunioni verificando biglietti aerei o treno, ricevute di alberghi e ristoranti e tutte le spese atte a provare la permanenza all’estero dell’amministratore nel periodo in cui si sono tenute le assemblee o prese decisioni. (potrebbe anche essere opportuno prendere in considerazione l’eventualità di una autentica notarile delle assemblee al fine di creare una prova inconfutabile dell’avvenuta riunione in tale date e luogo)
  • la presenza di amministratori di professione, come schermo di una reale gestione dall’Italia
  • le comunicazioni via fax o e-mail da cui si evince che la sede effettiva è sul territorio nazionale
  • il luogo di stipula dei contratti e l’accensione di conti correnti in Italia.
Il contribuente, oltre prestare attenzione a questi aspetti, dovrà dimostrare che :
  • gli amministratori e il management estero godono di elevata autonomia gestionale
  • la sede estera sia effettivamente strutturata e disponga di utenze e personale dipendente
  • la società estera adempia regolarmente agli obblighi contabili e fiscali
  • la localizzazione estera sia dettata da ragioni economiche e non coincida con un Tax Haven

Queste circostanze valgono anche nel caso di esterovestizione di diritto, anche se il contribuente partirà svantaggiato dovendo provare, con elementi di fatto, che la sede della direzione effettiva sia all’estero.

Anche il paragrafo 24.1 del commentario Ocse elenca alcuni fattori di riferimento per la determinazione della sede di direzione effettiva delle persone giuridiche:
  • il luogo ove si riuniscono di regola i componenti del consiglio amministrazione
  • il luogo in cui l’amministratore delegato svolge normalmente le proprie funzioni
  • il luogo del day to day management
  • il luogo in cui si trova l’headquarter
  • la legislazione applicabile all’ente
  • il luogo in quale viene tenuta la contabilità.

Conclusioni

Ai fini della determinazione o meno dell’esterovestizione di una società occorre, quindi, verificare due concetti strettamente legati fra di loro, la sede amministrativa e la libertà di stabilimento. Due sono anche le caratteristiche che tale insediamento deve possedere per essere considerato genuino, una materiale e relativa ad elementi oggettivi everificabili da parte di terzi, relativi, in particolare, al livello di presenza fisica in termini di locali, personale e attrezzature e l’altra più operativa attinente, cioè, all’attività che mediante siffatta struttura la società svolge e che deve mostrare i contorni di una effettiva attività economica. Naturalmente le valutazioni devono essere fatte caso per
caso, senza quindi tendere a generalizzare, mettendo in relazione la particolare attività che la società è chiamata a svolgere nello Stato e l’assetto organizzativo e gestionale ivi presente nella idoneità a realizzare siffatte funzioni.